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Piero Chionna
Italy
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Posted - 24 June 2010 : 00:49:21
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"...perché del braccio straniero a fabbricare le macchine mosse dal vapore il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse..."
Ripercorriamo la storia delle officine di Pietrarsa, dalle origini, fino al loro ultimo utilizzo come sede del Museo Nazionale Ferroviario. Nei prossimi giorni presenterò un esauriente articolo pubblicato nel 1975 sul bollettino del Gruppo Fermodellistico della Campania. Nell'attesa riporto un articolo pubblicato sul sito "napoli.com". La storia è vista da Sud, secondo un'ottica revisionistica del Risorgimento.
Il “Real Opificio Borbonico di Pietrarsa”, prima dell’invasione piemontese, era il più grande polo siderurgico della penisola italiana, il più prestigioso coi suoi circa 1000 operai. Voluto da Ferdinando II di Borbone per affrancare il Regno di Napoli dalle dipendenze industriali straniere, contava circa 700 operai già mezzo secolo prima della nascita della Fiat e della Breda. Un gioiello ricalcato in Russia nelle officine di Kronštadt, nei pressi di San Pietroburgo, senza dubbio un vanto tra i tanti primati dello stato napoletano. Gli operai vi lavoravano otto ore al giorno guadagnando abbastanza per sostentare le loro famiglie e, primi in Italia, godevano di una pensione statale con una minima ritenuta sugli stipendi. Con l’annessione al Piemonte, anche la florida realtà industriale napoletana subì le strategie di strozzamento a favore dell’economia settentrionale portate avanti da quel Carlo Bombrini, uomo vicino al Conte di Cavour e Governatore della Banca Nazionale, che presentando a Torino il suo piano economico-finanziario teso ad alienare tutti i beni dalle Due Sicilie, riferendosi ai meridionali, si lasciò sfuggire la frase «Non dovranno mai essere più in grado di intraprendere».
Bombrini era uno dei fondatori dell’Ansaldo di Genova, società alla quale furono indirizzate tutte le commesse fino a quel momento appannaggio di Pietrarsa. Prima del 1860, nata per volontà di Cavour di dar vita ad un’industria siderurgica piemontese che ammortizzasse le spese per le importazioni dalle Due Sicilie e dall’Inghilterra, l’Ansaldo contava la metà degli operai di Pietrarsa che raddoppiarono già nel 1862.
Dopo l’Unità d’Italia l’opificio partenopeo passò alla proprietà di Jacopo Bozza, un uomo con la fama dello sfruttatore. Costui, artificiosamente, prima dilatò l’orario di lavoro abbassando nello stesso tempo gli stipendi, poi tagliò in maniera progressiva il personale mettendo in ginocchio la produzione. Il 23 Giugno 1863, a seguito delle proteste del personale, promise di reimpiegare centinaia di operai licenziati tra i 1050 impiegati al 1860. La tensione era palpabile come testimonia il fitto scambio di corrispondenza tra la direzione di Pietrarsa e la Questura. Sui muri dello stabilimento comparve questa scritta: "muovetevi artefici, che questa società di ingannatori e di ladri con la sua astuzia vi porterà alla miseria". Sulle pareti prossime ai bagni furono segnate col carbone queste parole: “Morte a Vittorio Emanuele, il suo Regno è infame, la dinastia Savoja muoja per ora e per sempre”. Gli operai avevano ormai capito da quali cattive mani erano manovrati i loro fili.
La promessa di Bozza fu uno dei tanti bluff che l’impresario nascondeva continuando a rassicurare i lavoratori e rallentando la loro ira elargendo metà della paga concessa dal nuovo Governo, una prima forma di cassa-integrazione sulla quale si è retta la distruzione dell’economia meridionale nel corso degli anni a venire, sino a qui. Il 31 Luglio 1863 gli operai scendono ad appena 458 mentre a salire è la tensione. Bozza da una parte promette pagamenti che non rispetterà, dall’altra minaccia nuovi licenziamenti che decreterà.
La provocazione supera il limite della pazienza e al primo pomeriggio del 6 Agosto 1863, il Capo Contabile dell’opificio di Pietrarsa, Sig. Zimmermann, chiede alla pubblica sicurezza sei uomini con immediatezza perché gli operai che avevano chiesto un aumento di stipendio incassano invece il licenziamento di altri 60 unità. Poi implora addirittura l’intervento di un Battaglione di truppa regolare dopo che gli operai si sono portati compatti nello spiazzo dell’opificio in atteggiamento minaccioso.
Convergono la Guardia Nazionale, i Bersaglieri e i Carabinieri, forze armate italiane da poco ma piemontesi da sempre, che circondano il nucleo industriale. Al cancello d’ingresso trovano l’opposizione dei lavoratori e calano le baionette. Al segnale di trombe al fuoco, sparano sulla folla, sui tanti feriti e sulle vittime. La copertura del regime poliziesco dell’epoca parlò di sole due vittime, tali Fabbricini e Marino, e sei feriti trasportati all’Ospedale dei Pellegrini. Ma sul foglio 24 del fascio citato è trascritto l’elenco completo dei morti e dei feriti: oltre a Luigi Fabbricini e Aniello Marino, decedono successivamente anche Domenico Del Grosso e Aniello Olivieri. Sono questi i nomi accertati dei primi martiri della storia operaia italiana.
I giornali ufficiali ignorano o minimizzano vergognosamente il fatto a differenza di quelli minori. Su “Il Pensiero” si racconta tutto con dovizia di particolari, rivelando che in realtà le vittime sarebbero nove. “La Campana del Popolo” rivela quanto visto ai “Pelligrini” e parla di palle di fucile, di strage definita inumana. Tra i feriti ne decrive 7 in pericolo di vita e anche un ragazzino di 14 anni colpito, come molti altri, alle spalle, probabilmente in fuga dal fuoco delle baionette.
Nelle carte, dai fogli 31 a 37, si legge anche di un personaggio oggi onorato nella toponomastica di una piazza napoletana, quel Nicola Amore, Questore durante i fatti descritti, che definisce "fatali e irresistibili circostanze" quegli accadimenti. Lo fa in una relazione al Prefetto mentre cerca di corrompere inutilmente il funzionario Antonino Campanile, testimone loquace e scomodo, sottoposto a procedimento disciplinare e poi destituito dopo le sue dichiarazioni ai giornali. Nicola Amore, dopo i misfatti di Pietrarsa, fece carriera diventando Sindaco di Napoli.
Il 13 ottobre vengono licenziati altri 262 operai. Il personale viene ridotto lentamente a circa 100 elementi finché, dopo finti interventi, il governo riduce al lumicino le commesse di Pietrarsa, decretando la fine di un gioiello produttivo d’eccellenza mondiale. Pietrarsa viene declassata prima ad officina di riparazione per poi essere chiusa definitivamente nel 1975. Dal 1989, quella che era stata la più grande fabbrica metalmeccanica italiana, simbolo di produttività fino al 1860, è diventata un museo ferroviario che è straordinario luogo di riflessione sull’Unità d’Italia e sulla cosiddetta “questione meridionale”. |
Piero |
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Ely Peyrot
Italy
1453 Posts |
Posted - 24 June 2010 : 15:22:01
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Grazie Piero, un buon contributo alla memoria civile, così difettosa tra i nostri concittadini. |
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Piero Chionna
Italy
8643 Posts |
Posted - 24 June 2010 : 18:26:44
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Questo è l'articolo che è stato pubblicato sul numero 8 (dicembre 1975) di "Ferrovie e modellismo ferroviario", bollettino del "Gruppo Fermodellistico della Campania"; tra gli autori c'è anche l'Ing. Giulio Adamo, ultimo direttore delle officine di Pietrarsa.
Buona lettura.
http://www.marklinfan.it/documenti/pietrarsa.pdf
Piero
PS Grazie a te, Ely.
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Piero |
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Nino Carbone
7001 Posts |
Posted - 24 June 2010 : 19:44:41
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- Piero, una grande pagina di storia che è stato importante far conoscere - - Grazie- - Nino -
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Piero Chionna
Italy
8643 Posts |
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Piero Chionna
Italy
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Ely Peyrot
Italy
1453 Posts |
Posted - 28 June 2010 : 18:43:23
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Anche Pietrarsa merita una gita di gruppo. Dopo Prato, e la visita al plastico di San Giuliano, scendiamo a sud fino a Portici? |
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Piero Chionna
Italy
8643 Posts |
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Alberto Pedrini
Italy
11481 Posts |
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massimo carvelli
Italy
364 Posts |
Posted - 27 October 2010 : 13:09:43
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Non risponde nessuno all'invito di Ely? Io potrei offrire una bevanda calda al passaggio-sosta a Roma.
Capisco che per molti di voi è lontano, ma Pietrarsa merita la gita. Ed inoltre, per le signore accompagnatrici, suggerisco la visita al museo-scuola della lavorazione dei coralli che ha sede a Torre del Greco, lì vicino; mentre invece, assieme mogli e mariti, si potrebbe andare a Ercolano oltre che alla notoria Pompei se proprio si volesse strafare. Ciao |
Siamo schiavi delle leggi, per poter essere liberi (Cicerone) |
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Piero Chionna
Italy
8643 Posts |
Posted - 18 November 2011 : 19:07:47
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quote: Originally posted by massimo carvelli
Non risponde nessuno all'invito di Ely? Io potrei offrire una bevanda calda al passaggio-sosta a Roma.
Capisco che per molti di voi è lontano, ma Pietrarsa merita la gita. Ed inoltre, per le signore accompagnatrici, suggerisco la visita al museo-scuola della lavorazione dei coralli che ha sede a Torre del Greco, lì vicino; mentre invece, assieme mogli e mariti, si potrebbe andare a Ercolano oltre che alla notoria Pompei se proprio si volesse strafare. Ciao
Visto che il Sud è troppo lontano consiglio almeno la lettura di questo articolo del "Clamfer" (Club Amici della Ferrovia - Napoli), dedicato alle "Officine dei Granili", un impianto strettamente correlato alle Officine di Pietrarsa.
http://www.clamfer.it/02_Ferrovie/01_Treni/Officina%20Granili/Officina%20Granili.htm
Piero |
Piero |
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